Eccola Beta Libre, eccola Benedetta Goggioli, artista multiverso che da studi classici approda a questo lavoro dal titolo “Winter Cicle”, elettronica urbana dentro cui il corpo e la provocazione come incitamento alla libertà della propria identità sono un centro che mi piace rintracciare personalmente. La mia lettura di un disco affascinante, di soluzioni che cercano la personalità e l’identità…

Sesso ed emancipazione. Nonostante i toni scuri, questo disco provoca anche in tal senso?
In un certo senso sì. Cioè ci sono brani che parlano di liberazione e ribellione a una normatività che mi sta stretta, per esempio Enjoy (il più esplicito) e Decadence. Credo che l’emancipazione passi anche dall’espressione sessuale e da quella creativa e per me è un tema molto importante: ci tengo ad allontanarmi da una prospettiva forzatamente mono ed etero normativa, verso una concezione di amore e sessualità più consapevole e libera, verso un’espressione artistica e personale più autentica e vera, per guardarmi e mostrarmi fin nelle mie profondità, spesso ambigue e contrastanti. Enjoy l’ho scritta per rivendicare il controllo sul mio corpo e l’espressione del mio desiderio. Dopo aver subito alcune molestie, avevo bisogno di esprimermi in modo forte per tornare ad essere io quella che invita e chiede… invece di subire le decisioni altrui.

E perché appunto i toni scuri del suono? Significano una resa alla condizione restrittiva che viviamo?
Credo che il desiderio di libertà e l’oscurità del suono derivino anche dal fatto che una parte dell’album l’ho scritta durante la pandemia, un periodo sicuramente molto restrittivo che ci ha fatto sentire divisi, soli, chiusi nel nostro piccolo mondo. Comunque nei miei temi non percepisco una resa, ma un’esplorazione del profondo, delle fragilità e delle debolezze che tutti abbiamo, delle pulsioni, del dolore. Vedo l’oscurità come una parte necessaria, quasi un rifugio a volte, come dico in Darkness. Permane sempre una lotta per migliorare noi stessi e ciò che ci circonda, la ricerca della luce, dell’equilibrio tra gli opposti, tra l’alba e la notte, tra il rosso del fuoco e della lotta e la calma profonda del mare blu.

Siamo nel futuro eppure hai anche tu l’impressione che non sta cambiano niente da generazioni?
Diciamo che per certi versi stiamo cambiando molto velocemente e invece per altri ci siamo bloccati e facciamo fatica a vedere i piccoli cambiamenti come significativi e portatori di speranza. Io credo fortemente nella sorellanza e nell’empatia, ma molto spesso mi sembra tutto fossilizzato e tendo a scoraggiarmi. Vorrei tanto un mondo senza patriarcato, senza specismo, senza capitalismo e competitività, senza divisioni e discriminazioni. Una società più libera e allo stesso tempo più responsabile e rispettosa di tutti gli esseri viventi. Spero di non smettere mai di sognare e di continuare ad impegnarmi in questa direzione.

Che rapporto hai con l’inverno? E perché un cerchio o un circolo? Come dicevamo prima: tutto ritorna?
L’inverno lo amo e lo detesto al tempo stesso. È il periodo dell’introspezione e del riposo. È il momento di cercare conforto per non sopperire al freddo e al buio. Vorrei tanto che durasse meno, ma sento che è indispensabile, anche al mio equilibrio. Percepisco in modo forte l’alternarsi delle stagioni della natura e della vita e mi piace pensare che tutto torna. Tutto ciò che inizia, finisce e poi lascia il posto a qualcosa di nuovo, si trasforma, evolve, in un circolo eterno imprevedibile ed emozionante. Un misto tra la spiritualità buddista e la legge della conservazione della massa… Per questo il mio album inizia con la gioia dell’infanzia, passa da vari dolori che ho affrontato e da alcune rivelazioni luminose per arrivare infine ad una specie di fantasia metafisica sulla vita dopo la morte. È questo che dice: gioie e dolori si susseguono e con la giusta dose di saggezza si possono vivere appieno nella loro impermanenza.

Dal vivo come stai lavorando? Come suona questo disco?
Dal vivo suona molto elettronico, intenso e più ritmico rispetto all’album, con sfumature sempre nuove perché ho un musicista meraviglioso accanto (Rick Landi) e ogni volta lasciamo spazio all’improvvisazione estemporanea. Ci piace riarrangiare parzialmente i pezzi, con il risultato che non sono mai uguali a se stessi, prendono vita e si trasformano di live in live. Sul palco Rick suona vari tipi di synth (spesso vintage), un organo e un campionatore (a volte anche il piano Rhodes o il Wurlitzer), mentre io suono il mio synth e uso la loop station per sommare le voci che registro in diretta e per aggiungere alcuni effetti. Ci piace molto l’esperienza live, farci trascinare dal flusso del momento… e a me piace molto muovermi e inebriarmi di musica.