Guardando Roma dall’alto tre monumenti colpiscono immediatamente la vista perché ben riconoscibili: il Colosseo, il Vittoriano ed il Palazzo di Giustizia. Sorvoliamo sui due primi monumenti assai ben noti; interessante, invece, è la storia del Palazzo di Giustizia che, pur se edificato circa 130 anni fa, può essere preso ad esempio dei difetti che ancor oggi affliggono la realizzazione di opere pubbliche.
Voluto dall’allora capo del Governo, Giuseppe Zanardelli per dare alla “terza Roma” un monumento “ di severa bellezza, il quale, sulle tracce dei più imitabili modelli del Cinquecento, accoppiò la venustà e l’eleganza all’impronta di quella maestà e di quella forza che sono gli essenziali attributi della legge e del diritto” (sue parole), viene posta la prima pietra del Palazzo nel marzo 1888 ma l’opera viene inaugurata (anche se i lavori non erano completamente conclusi) ben 23 anni dopo, nel gennaio 1911 alla presenza del Re.
L’autore è l’ingegnere e architetto perugino Guglielmo Calderini (1837 – 1916) che realizza un immenso rettangolo di 170 x 155 metri proprio sulle sponde del Tevere con i relativi problemi di instabilità del terreno tanto che si deve mutare il progetto originario rinunciando alla costruzione di un terzo piano. Ma, pur a conoscenza di questo difetto di origine, non si vuole rinunciare a collocarlo in quel luogo per contrapporlo volutamente alla mole del vicino Castel Sant’Angelo, simbolo delle efferatezze giudiziarie del precedente Stato Pontificio.
I lunghissimi tempi di costruzione si accompagnano a malversazioni e a continui aumenti di spesa che passa dai previsti 8 milioni ad oltre 39 milioni con in più la velata accusa allo stesso Primo Ministro Zanardelli di aver utilizzato marmi di provenienza dal suo collegio elettorale di Botticino, nel bresciano.
Si arriva, comunque, al compimento della struttura e infine la facciata del Palazzo, con decorazioni obiettivamente debordanti, viene “abbellita” con le statue di otto giureconsulti del passato e sulla cima viene posta una quadriga bronzea, opera di Ettore Ximenes, con un esplicito richiamo alla quadriga che sormonta anche il Vittoriano.
Ma il Palazzo non ha pace neanche dopo la fine della costruzione: le imprese che hanno realizzato l’opera vengono deferite all’autorità giudiziaria per presunti brogli e viene addirittura aperta un’inchiesta parlamentare in cui si scopre che diversi deputati erano coinvolti in arbitrati e decisioni favorevoli alle ditte in cambio di quelle che oggi potremmo chiamare “mazzette”. Come si vede, nulla è cambiato nel nostro Paese da 130 anni fa ad oggi!
Un edificio, insomma, che ben si è meritato il soprannome di “Palazzaccio”, come lo chiamano i romani per le vicissitudini che hanno accompagnato la sua costruzione e che, secondo una leggenda metropolitana, avrebbe portato al suicidio del Calderini, sconfortato dalle critiche. Un edificio, insomma, decisamente sfortunato tanto da correre il rischio, negli anni ’60, di dover essere completamente abbattuto per il suo lento sprofondamento; si preferì, alla fine, alleggerirlo del peso di tutti gli arredi ed il materiale accumulato nei decenni precedenti quando era sede del Tribunale e trasferirvi la Cassazione.
Chiudiamo, però, con una nota positiva: durante i lavori di scavo delle fondamenta è stato trovato un sarcofago romano in cui era stata sepolta una fanciulla morta a 18 anni rivestita con tutti i suoi gioielli e con accanto la sua bambola snodabile in avorio, oggetto rarissimo, ora conservata al Museo della Centrale Montemartini.
Articolo di Riccardo Bramante